Una storia personale per raccontare la Grande Storia, una piccola goccia per intravedere l'oceano, per comprendere meglio cosa significhino nella vita delle persone due righe di un trattato, un paragrafo del manuale di storia.
Nelle vicende europee la seconda guerra mondiale ha segnato, già prima della sua conclusione, lo sconvolgimento nella vita di milioni di persone che sono state sradicate dai paesi in cui abitavano, deportate o costrette dalle circostanze ad andarsene. Dai Sudeti della Boemia vengono espulsi gli appartenenti alla minoranza di lingua tedesca; tra loro, l'8 giugno 1945, una bambina di cinque anni. esule nella Germania occidentale con i genitori e la sorella; un fratello era prigioniero, il maggiore disperso a Stalingrado.
Si tratta della scrittrice, protagonista inconsapevole, che ora cerca di ricordare i momenti di quella "Andata". Da italiana e adulta compie il viaggio del "Ritorno", ci arriva per caso, ma poi la animano sempre maggiore curiosità e desiderio; arriva in quei luoghi, ripercorrendoli a piedi, lentamente, come allora avevano dovuto fare.
Wolftraud de Concini non parla di 'riconciliazione' tra i nemici di allora, lo fa invece il boemo Milan Novàk. In lui suscita sentimenti di ostilità, ancora vivi, la divisa tedesca con gli emblemi della morte che porta, in una foto, il fratello di lei. "Per noi cechi un simbolo terribile. Il simbolo del nemico. Ma ora in questa foto, vedo anche sua sorella più piccola che io conosco e alla quale voglio bene. Ho la sensazione di vedere le cose da un altro punto di vista."
Lei era bambina, in questi anni non ha nutrito risentimenti (e qui si intravvede l'ombra grande di genitori che non gliel'hanno instillati e le hanno regalato una quotidianità 'normale' in tempi così difficili), ma quale tenerezza in quel lento ripercorrere, a piedi, la strada della fuga di allora. Nella poesia delle sue foto che inquadrano la vecchia scuola dove il padre, come maestro, poteva alloggiare con la famiglia. I pochi gradini che portano alla soglia di casa. Le scarse tracce rimaste di un passato lontano e che nemmeno si pensava di andare a indagare.
Il testo è immediato e essenziale, della semplicità che va al cuore delle cose, parla alla ragione e al sentimento. Un tocco leggero e profondo, una voce che non dimentica, che recupera il ricordo e ricostruisce una comune umanità. Viene proposto l'ideale di una Europa in pace, non a parole e a colpi di retorica, ma a gesti semplici e importanti, anche in quel passato terribile. Il soldato ceco che piange allacciando il cinturino delle scarpe ad una bambina cacciata dalla sua casa o quelli che li devono scortare fuori dei confini, ma "mi rifocillano con panini. Portano il mio zaino. Mi prendono per mano quando comincio a inciampare per la stanchezza." Niente è nascosto e niente è enfatizzato, anche se siamo di fronte a stragi di cui sono responsabili entrambi gli schieramenti.
Che cos'è una patria? sapeva della strage mio padre? cosa significa avere un'ora per lasciare una vita? "La nostra vita pesa ora settanta, ottanta chili. Gli averi di quattro persone in tre zaini." Balzano agli occhi gli oggetti di tutti i giorni, cose care e ricordi insieme. "E rimasero indietro i morti".
Wolftraud de Concini non dà spazio all'emotività, riuscendo nello stesso tempo a mantenere il calore della vita e dei sentimenti. Le sue frasi spaziano in un bianco nitido, se possibile ancor più luminose e intense nella loro brevità, delicate e attente come le sue foto.
Contributi di Paolo Rumiz, Milan Novàk, Ondřej Matějka.