La traduttrice di queste poesie scritte da Adam Zagajewski nell'arco di vent'anni, in una ricca post fazione ci dice cosa significhi per lui la poesia: se la musica è stata creata per chi ha una casa, la pittura per gli stanziali, «la poesia si addice agli emigranti, a quegli sventurati sull'orlo di un precipizio, sospesi tra due generazioni, tra i continenti.» La condizione di migrante e il senso di estraneità ispira molti di questi versi, con la nostalgia non per la grigia repubblica socialista polacca in cui ha vissuto, ma per la Leopoli del mito familiare. la Leopoli «quieta e pura come una pesca» da cui la famiglia è stata espulsa pochi mesi dopo la sua nascita nel 1945.
Il titolo della raccolta riflette la sua attenzione per la realtà nella sua quotidiana concretezza, immagini e metafore di una articolata riflessione sulla vita e fa riferimento ad una delle poesie.
Dalla vita degli oggetti
La pelle levigata degli oggetti è tesa
come la tenda di un circo.
Sopraggiunge la sera.
Benvenuta, oscurità.
Addio, luce del giorno.
Siamo come palpebre, dicono le cose,
sfioriamo l'occhio e l'aria, l'oscurità
e la luce, l'India e l'Europa.
E all'improvviso sono io a parlare: sapete,
cose, cos'è la sofferenza?
Siete mai state affamate, sole, sperdute?
Avete pianto? E conoscete la paura?
La vergogna? Sapete cosa sono invidia e gelosia?
i peccati veniali non inclusi nel perdono?
Avete mai amato? Vi siete mai sentite morire
quando di notte il vento spalanca le finestre e penetra
nel cuore raggelato? Avete conosciuto la vecchiaia,
il lutto, il trascorrere del tempo?
Cala il silenzio.
Sulla parete danza l'ago del barometro.