La solidarietà dei Serbi fa molto, ma l’Europa non può stare a guardare
di Emina Ristović
La solidarietà dei Serbi fa molto, ma l’Europa non può stare a guardare
La notte è buia e fredda, le temperature in picchiata. Noi siamo dentro le case, al caldo, a osservare la neve fioccare allegramente mentre a migliaia di chilometri di distanza c’è chi così fortunato non lo è. Chi aspetta in una fila sotto il gelo pungente per avere un pasto caldo distribuito dalle autorità locali, ospitato in una tendopoli che può fare ben poco contro temperature di - 20 gradi e oltre che caratterizzano i Balcani in questi giorni.
Foto di Darko Voijnovic
Sono immagini tristi, che fanno sussultare il cuore, quelle che ci arrivano dalla Serbia, uno dei paesi sulla cosiddetta rotta balcanica interrottasi lo scorso marzo. Le frontiere chiuse tengono in ostaggio migliaia di migranti bloccati nei vari stati della regione in attesa di proseguire il loro viaggio della speranza, sognando ancora di raggiungere l’Europa occidentale. Il gran freddo della capitale serba ha messo nelle condizioni drammatiche e al limite della sopravvivenza circa 2.000 uomini, donne e bambini. Gli accampamenti formati da tende allestiti al centro di Belgrado non riparano sufficientemente dal freddo e sono destinati ai più fortunati. Tanti di loro si aggirano invece nel parco e nella vasta area antistante la stazione ferroviaria e degli autobus. Di giorno, avvolti nelle coperte e negli scialli, vagano in continuazione, mentre di notte cercano riparo in garage pubblici, locali abbandonati nei dintorni della zona in cui sono accampati. Per scaldarsi si stringono intorno a un falò: però la magia dura poco purtroppo, massimo un paio d’ore.
La morsa del gelo è insopportabile, ma non può fare nulla contro i sogni. Sono questi ultimi a scaldare i migranti, grandi e piccoli, che non perdono nemmeno per un attimo la speranza di arrivare un giorno in Ungheria, nonostante ora ci siano un muro temibile e l’esercito pronti a respingerli, e da lì in Italia. Per il momento non possono andare avanti ma nemmeno tornare indietro. Sono confinati in una città in cui la solidarietà per fortuna non conosce barriere. In aiuto alle persone - la maggioranza di loro viene da Siria, Pakistan, Afghanistan e Irak - sono accorse numerose organizzazioni umanitarie presenti sul territorio, in primis la sezione serba dell’Unhcr e Medici senza frontiere che hanno messo a disposizione coperte, cibo e generi di conforto. I migranti provengono dalle zone con un clima molto più mite e non hanno un adeguato abbigliamento e le scarpe per fronteggiare il ghiaccio e le temperature balcaniche rigidissime. Oltre alla società civile che si è mobilitata per fornire aiuti, i cittadini di Belgrado hanno creato una rete di volontari che passano casa per casa a raccogliere coperte, vestiario invernale, scarpe, cibo e altri generi di prima necessità. Nel 2017 però non dovremmo assistere alle immagini di persone che attendono per ore al freddo un pasto caldo. Non stiamo per raccontarci le storie della Seconda guerra mondiale, non parliamo dei campi di sterminio della Germania. Siamo in Europa di oggi. Quelle immagini parlano chiaro. Vedere la fila di migranti in una vecchia installazione doganale nel centro della città bianca è un pugno nello stomaco che fa male. Un costante sussurro del cuore che non può capire come il mondo è arrivato a questo punto. Il mondo che invece di andare avanti sta pericolosamente tornando indietro. Intanto l’Europa tace, indifferente come sempre.