Halima è una ragazza italo-marocchina che sta facendo una ricerca sulla percezione della violenza nelle donne marocchine in Italia. Si trova a contatto con donne che hanno subito violenza dal proprio partner e sfruttamento al lavoro.
"Le donne immigrate in Italia non si sentono cittadine, non conoscono la Costituzione italiana" afferma una sua collega. Una strada per rendere le donne immigrate più consapevoli e quindi meno soggette a violenza fisica e morale è quella di sopportarle nel percorso di migrazione attraverso politiche di accoglienza e integrazione. Le seconde generazioni hanno un ruolo fondamentale di mediazione.
Il documentario si trova a questo link: http://www.zalab.org/progetti-it/59/#.UkbQU4bObmY
In mezzo a una distesa di agrumeti, nel cuore della Sicilia, a ridosso di una statale vagano sull'asfalto dei giovani immigrati. Costeggiano lunghe recinzioni oltre le quali si disegnano infilate di villette dai colori pastello, sembrano finte. Un nuovissimo Centro di Accoglienza nato sull’onda di una emergenza improvvisa. Un residence a 5 stelle, ex residenza dei militari Usa della base NATO di Sigonella. Il paese più vicino è Mineo 4.000 abitanti, molti dei quali sono stati emigranti, mostrano comprensione, criticano chi li rifiuta, ma si chiedono cosa ci fanno lì.
Il sindaco racconta come il nostro governo ha deciso di isolare circa 2000 stranieri, dell’assurdità di quel recinto. Gli fa eco un tunisino, lucido e consapevole di essere prigioniero, del nulla che ha intorno.
A poco a poco, si mette a fuoco un filo spinato, la mancanza di servizi, l'incapacità della politica di costruire un sistema di accoglienza libero da interessi economici.
Gli immigrati con le loro riflessioni, la loro sete di comunicazione, di libertà negata per mesi, nell’attesa estenuante di una commissione che accolga le loro richieste e che li liberi da quello stato di sospensione, di non-vita, per riavere il loro tempo.
Mare Deserto è stato trasmesso a Strasburgo nella sede del Consiglio d’Europa che ora indaga sulle responsabilità per i profughi abbandonati nel Mediterraneo durante la guerra in Libia. Si tratta di un'inchiesta della televisione Svizzera Italiana che, attraverso testimonianze e documenti, ricostruisce l'incidente avvenuto a fine marzo 2011, quando 72 migranti partirono da Tripoli su un gommone e, finito il carburante, andarono alla deriva. Malgrado l’allarme della Guardia costiera italiana, vennero lasciati senza acqua e viveri per due settimane nel Canale di Sicilia, mentre il Mediterraneo era solcato da numerose navi militari della Nato e dopo che un elicottero militare aveva gettato loro bottiglie d’acqua e un po’ di biscotti. Per poi andarsene e non tornare. Nessuno prestò soccorso ai profughi, provocando la morte di 63 persone.
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Il documentario viene proiettato il 19 febbraio alle 20.30, al cinema Astra, corso Buonarroti 16, Trento, in collaborazione con Amnesty International, Gruppo Italia 150, Trento.
Interviene il regista Emiliano Bos.
Fu il primo grande sbarco di stranieri in Italia. Non profughi o migranti, ma esseri umani in cerca di un futuro migliore o curiosi di una terra divisa da un breve braccio di mare dalla loro. È la vicenda della nave Vlora, arrivata a Bari l’8 agosto 1991, raccontata da Daniele Vicari nell’ottimo documentario “La nave dolce”. Un film costruito intervistando al giorno d’oggi alcuni dei protagonisti di quelle giornate e con tanti materiali d’archivio, soprattutto riprese dei cameraman delle tv locali pugliesi. Quelli furono pochi giorni che segnarono la fine dell’età dell’innocenza del nostro Paese per ciò che riguarda l’immigrazione. Non era il primo sbarco massiccio di stranieri e c’erano già stati parecchi viaggi della speranza finiti male, per terra o nelle acque del Mediterraneo. In quelle giornate d’agosto avvennero però fatti nuovi. L’Italia si trovò impreparata e divisa tra l’accoglienza (del Comune di Bari, di molti cittadini) e la durezza (stringe lo stomaco e fa vergognare il comportamento del Presidente Cossiga in visita in Puglia). Alla fine, dopo giornate di passione, di sofferenze, sogni andati in fumo, scorribande di criminali, fughe rocambolesche, gran parte di coloro che avevano tentato l’avventura in Italia furono rimpatriati con la forza.
Vicari parte dal mercantile che attraccò a Durazzo carico di zucchero proveniente da Cuba e che venne assaltato dalla folla. L’imbarcazione stipata all’inverosimile, senza cibo e senza acqua, fu costretta a prendere il largo verso l’Italia, per approdare, con il motore principale in avaria, al porto di Bari. Seguono le scene rimaste nell’immaginario per le foto (anche di Luca Turi, tra i testimoni del film) e le immagini di persone che si buttavano dai parapetti. Riuniti sul molo, i circa 20.000 albanesi (un numero preciso non esiste) furono trasferiti (chi non riuscì a scappare e far perdere le proprie tracce) nello stadio San Nicola e là rinchiusi in uno stato d’emergenza.
Vicari alterna le immagini di allora alle interviste al giorno d’oggi, utilizzando l’accorgimento di filmare tutti davanti a uno sfondo bianco e non spiegare chi siano: la loro storia e il loro ruolo allora emerge dal racconto, che si tratti di un ragazzino albanese, di un assessore comunale o di un ispettore di polizia. Tra loro spiccano Kledi Kadiu, allora giovane studente di danza e ora volto noto della televisione che fu rimpatriato e riuscì a tornare in Italia pochi anni più tardi, e il regista Robert Budina.
Un film che racconta della transizione dell’Albania ma anche molto dell’Italia: fa sorridere, commuovere e indignare. Il regista collega quei fatti all’oggi ma senza inutili moralismi e sottolineature. Un documentario forte, solido, avvincente e da vedere, che ci aiuta a rimettere insieme tasselli di memoria e riflettere su chi siamo e come ci poniamo rispetto agli stranieri che arrivano.
Da http://www.balcanicaucaso.org/aree/Albania/La-nave-dolce-125872
“Il cinema è molto importante per noi. Significa essere vivi”: Razi e Sohelia Mohebi hanno una piccola casa di produzione cinematografica in Afghanistan. Non è facile, nei loro lavori, parlare della vita e delle difficoltà del loro paese: subiscono ripetutamente delle minacce e un giorno Razi viene addirittura rapito e picchiato. Durante la realizzazione di un film-documentario sull’uccisione di tre giornaliste arrivano in Italia, ospiti del Religion Today Filmfestival. È la loro fortuna: in quei giorni la loro casa di produzione viene chiusa ed essendo troppo pericoloso ritornare in Afghanistan, si trovano a dover ricominciare una nuova vita a Trento.
Nel racconto di cinque ragazzi tunisini, incontrati a Manduria, Mineo e Palazzo San Gervasio, un’intera vita soffocata sotto il regime di Ben Ali, la rivoluzione inaspettata e dirompente che l’ha messo in fuga. Poi la possibilità di partire, per alcuni a lungo sognata e per altri solo improvvisata.
Gli anni migliori sono i loro: quelli di una generazione di giovani cui per troppo tempo è stata negata la libertà, e che hanno deciso di provare a prendersela fino in fondo.
http://inostriannimigliori.wordpress.com/
Un bambino di cinque anni che si ostina a chiedere alla mamma dov'è finito papà e perché non torna più a casa. Le mani di un ragazzo innamorato che tremano scosse dalla rabbia in una gabbia, un attimo prima della rivolta. E il limbo di un uomo che da ex prigioniero si prende cura degli amici ancora dietro le sbarre, contando i giorni che mancano alla loro uscita. Sono le storie di Kabbour, Nizar e Abderrahim. Tre nomi per raccontare le vite che stanno dietro alle statistiche della macchina delle espulsioni. Così la regista Alexandra D'Onofrio prova a ribaltare l'estetica della frontiera. Affinché i numeri del Viminale tornino a essere uomini e donne in carne e ossa. Con una storia che va oltre il Cie, che ha un prima e un dopo, un dentro e un fuori la gabbia. E con un dato universale, che sia l'amore, la paternità o la solitudine, in cui tutti noi ci possiamo identificare per avere la certezza che nel 2012 viaggiare non è e non può essere un reato.
Dal sito http://fortresseurope.blogspot.it/2012/03/tre-corti-sui-centri-di-identi...
Aluk Amiri, rifugiato afghano giunto in Italia all'età di quindici anni, racconta i tormenti del giovane Nasir, suo alter ego, nel giorno del suo diciottesimo compleanno in una casa famiglia di Venezia. Zakaria Mohamed Ali, costretto a lasciare Mogadiscio dopo l'omicidio del suo maestro di giornalismo e di altri colleghi, dà voce ai sogni di gloria di Dadir, campione di calcio affermato nel suo paese e oggi costretto a viaggiare senza biglietto da Milano a Roma per giocare con la ‘nazionale somala di Roma'. Hevi Dilara, rifugiata curda, racconta lo spaesamento di una giovane famiglia appena sbarcata in un centro di prima accoglienza di Ercolano. Il burkinabé Hamed Dera riprende l'attività e gli ospiti della pensione “chez Margherita”, punto di riferimento della comunità burkinabé a Napoli, prima della sua imminente chiusura. Il filmmaker e rifugiato etiope Dagmawi Yimer segue il mediatore culturale e attore senegalese Mohamed Ba mentre rievoca quando, in una bella giornata di sole, uno sconosciuto decide di accoltellarlo davanti alla fermata dell'autobus.
Cinque storie di vita quotidiana ambientate in città molto diverse tra loro, Venezia, Milano, Roma, Portici e Napoli: scenari noti che ospitano volti e sguardi nuovi. Aluk, Hamed, Dag, Hevi e Zakaria hanno seguito un percorso di video formazione promosso dall'Archivio delle memorie migranti, col sostegno di Open Society Foundations e lettera27, e, con questi strumenti, si sono serviti di una telecamera per guardare all'accoglienza da un'altra prospettiva e restituire voce alle memorie migranti.
Cinque cortometraggi scritti, girati e diretti da ragazze e ragazzi immigrati in Italia. Un mosaico di piccole storie accomunate dalla ricerca di uno sguardo interno sulla condizione migrante e, insieme, un ritratto composito dell'Italia e del suo sistema di accoglienza riflesso negli occhi di chi arriva. Benvenuti in Italia è un film documentario in cinque episodi girato a dieci mani, prodotto dall'Archivio delle memorie migranti con il sostegno dell'Open Society Foundations e della Fondazione lettera27, in collaborazione con Asinitas e Circolo Gianni Bosio. Gli autori del film, provengono da mondi lontani tra loro e sono stati selezionati indipendentemente dalla loro esperienza nel campo degli audiovisivi. Molti di loro non avevano mai preso una telecamera in mano. Dopo un percorso di formazione, hanno scelto di ambientare le storie nei diversi contesti del loro arrivo.
Ideato e prodotto da un gruppo di giovani sul tema del diritto di asilo è il risultato di oltre un anno di lavoro e ha visto collaborare fianco a fianco italiani, rifugiati, volontari in servizio civile, tecnici del suono e... camionisti, autisti, studenti universitari, musicisti, formatori, fotografi. Il tutto con un unico obiettivo: conoscersi per prima cosa, e farsi conoscere attraverso il linguaggio video.
Questi giovani, entrati a contatto con il mondo dell’asilo politico, hanno sentito il bisogno di parlarne a tutti con questo mezzo, con l’attenta supervisione tecnico/artistica di Hugo e Gisella Muñoz e di Roberto Marafante.
La storia è quella, senza ritorno, del viaggio di un giovane uomo giunto in Italia per chiedere asilo. Sullo schermo scorreranno immagini di solitudini e incontri, interviste, colloqui, riflessioni e, naturalmente, viaggi reali e metaforici. Dietro, o se preferiamo davanti allo schermo, saranno gli stessi giovani che hanno realizzato il film a raccontare e trasmettere le emozioni di un anno di lavori, a testimonianza di come al di là dell'opera stessa il prodotto principale del percorso sia proprio la "magia" dell'incontro e della conoscenza.
Il documentario di Andrea Segre e Stefano Liberti conferma l'impegno e la volontà di mantenere alta l'informazione a proposito delle palesi (nonchè sanzionate dalla Corte di Strasburgo) violazioni dei diritti umani ad opera dell'Italia nei confronti delle persone in fuga dai conflitti africani. Al centro del documentario il respingimento in mare, raccontato dai protagonisti, ad opera di una nave militare italiana di una barca di migranti partiti dalla Libia e lì riconsegnati. Aspra la denuncia nei confronti dei trattamenti disumani nelle carceri libiche, alle quali l'Italia ha riconsegnato i profughi. Le voci di chi ha avuto la possibilità di raccontare quell'esperienza drammatica sono state raccolte dai due registi. Il 20 giugno 2012, il documentario è stato proiettato in 100 città italiane.