Il chiodo fisso di Mario, ogni volta che si trova a parlare con qualcuno, è il discorso politico, l'incapacità di comprendere la caduta dei regimi comunisti alla luce di ideali che egli ritiene ancora validi. Per lui, vecchio aderente al partito comunista italiano, democratico e non più rivoluzionario, l'uguaglianza degli uomini e la ricerca del bene comune resta sempre una meta e deve capire cosa invece è successo al di là del Muro. Analogamente è incapace di adattarsi alla normale felicità di una famiglia, proprio come se sempre si rimproverasse di essere 'felice da solo'.
Il libro di Cristina Comencini affronta tramite questo protagonista, incarnati nei suoi dubbi e nelle sue esitazioni, un discorso politico attuale, di fronte alla caduta del muro di Berlino e alla frana che ha travolto i paesi dell'area comunista, e nello stesso tempo un discorso intimo di relazione tra le persone, in complicati rapporti familiari.
È un lavoro sulla memoria - «molti non sanno niente, o non abbastanza»
attuato per comprendere senza paura di riaprire vecchie ferite. «Come abbiamo fatto a non renderci conto per così tanti anni che tutto questo vostro dolore macchiava di sangue la nostra ricerca del bene comune? Che bene era? Avremmo dovuto capirlo e aiutarvi.»
Il protagonista avvia una ricerca che non è solo intellettuale, ma anche una ricerca della sorte toccata ad una determinata persona, una coetanea inghiottita dai tristemente famosi ospedali psichiatrici dell'URSS e insieme una esperienza che lo lega maggiormente al figlio.
« Irina e io avevamo affrontato la stessa frazione del percorso, ai due lati del Muro. Alla fine era stata lei a vedere per prima la direzione della corsa.»
Una corsa libera in cui gli atleti si succedono gli uni agli altri: «Esiste, già, sempre, il pensiero che supera il nostro. Non c'è da aver paura, siamo in una staffetta, gli atleti si succedono l'uno all'altro. Il seguente è già pronto all'angolo della strada , anche se a noi è impossibile vederlo.»
L'importante è non farsi dominare dall'odio di chi si sente migliore, da chi «impone» l'amore, come dice Irina in quel suo intenso messaggio lanciato ad un ignoto e solo sperato lettore occidentale: «L'amore che usano per cambiarti, per trasformare i tuoi pensieri, l'amore per gli altri, l'amore di chi ti vuole salvare, l'amore di chi ti dà la vita, l'amore di chi te la riprende in nome dell'amore universale.»
Mario riesce a ritrovare e raccogliere le sue parole, placando così la sua ansia.
«Pochi hanno il coraggio di abbandonare le certezze. Li capisco. Noi vogliamo ostinatamente, malgrado tutto, il bene. Nessuno di noi può sopportare la povertà all'angolo della strada o in un lontano vicino paese. E ci sembra, abbandonando il sogno, di tradire la nostra umanità. Ma è proprio il contrario. Le prossime generazioni, se non saranno annientate un'altra volta dall'odio di chi si sente migliore, potranno esistere nel loro tempo, darsi da fare, trovare soluzioni, elaborare teorie in libertà. I miei occhi ancora non riescono a vedere queste novità. La mia mente, come quella di Irina, è stata preparata per non capire. Ma so, come lei, che esiste già chi le pensa.»