Che la cosiddetta “letteratura della migrazione” sia una definizione volutamente circoscritta, volta a inquadrare la produzione letteraria di scrittori e scrittrici la cui biografia è contraddistinta dalla frattura esistenziale dell’esperienza migratoria e della commutazione linguistica, è cosa nota solo in parte. Se infatti gli addetti ai lavori conoscono ad esempio le affermazioni teoriche di Armando Gnisci, che di quest’area di studi è il precursore italiano e a tutt’oggi l’esponente più noto, i vari operatori attivi in campo interculturale ammetteranno piuttosto di essersi imbattuti, nel corso degli anni, in etichette diverse (letteratura migrante, scrittura migrante ecc.), le quali in un modo o nell’altro intendevano radunare i testi poetici variamente associabili alla “Grande Migrazione” che ha avuto luogo in Occidente (ma non solo) a partire dagli anni Novanta del secolo scorso. A sgomberare il campo da ulteriori incertezze interviene ora un interessante volume collettivo curato da Silvia Camillotti, che esprime fin dal titolo la volontà di rilevare la connotazione migratoria entro un orizzonte nuovo e lungimirante: Lingue e letterature in movimento. Scrittrici emergenti nel panorama italiano contemporaneo (Bononia University Press 2008) raccoglie gli atti di due giornate di studio svoltesi all’Università di Bologna nell’ottobre 2008 e intende valorizzare, come dichiara la curatrice nell’introduzione, «una prospettiva attenta alla componente femminile immigrata che produce letteratura oggi in Italia», senza però confinarla entro una categoria ghettizzante; anche perché, tra le scrittrici in questione, vi sono anche autrici di cosiddetta “seconda generazione”, per le quali la migrazione non è più di un retroterra familiare, mentre l’italiano è una lingua appresa fin dall’infanzia.
La dominanza femminile è motivata, nelle intenzioni della curatrice, dal rilevo quantitativo e qualitativo che le scrittrici hanno in questo tipo di letteratura rispetto alla letteratura italiana “canonica”, mentre il «movimento» cui allude il titolo ammicca al superamento in senso «mondiale» dei confini entro i quali la storiografia letteraria nazionale tende a operare secondo un’impostazione ormai anacronistica, oltre che da sempre inadeguata sul piano della comprensione estetica. Si tratta dunque di una raccolta di saggi, d’autore e critici, i quali, oltre a gettare luce su un fermento poetico molteplice e in crescita, mira ad avere anche una ricaduta extra-letteraria, quella di un arricchimento non solo del canone letterario, ma anche della comunità dei lettori italofoni in senso interculturale.
Gli interventi delle autrici, tanto più gustosi quanto più si configurano come vere e proprie dichiarazioni di poetica, con tanto di autocitazioni e delucidazioni tecniche, si alternano ai contributi critici dando corpo a un volume eterogeneo ma organico. Apre la brasiliana Christiana de Chaldas Brito, seguita dall’alfabeto migrante di Nora Noll; le riflessioni di Erminia Dell’Oro aprono squarci illuminanti non solo sulla sua prosa, ma anche sull’Eritrea in cui ella è nata e cresciuta; il discorso critico di Daniele Comberlati si richiama alle questioni aperte del post-coloniale italiano per poi soffermarsi su tre autrici esemplari, Luciana Capretti, Gabriella Ghermandi e Ribka Sibhatu; è poi la categoria dell’ironia ad accomunare gli interventi dell’egizio-congolese Ingy Mubiayi Kakese e dell’indo-italiana Gabriella Kuruvilla, quest’ultimo davvero notevole nel ripercorrere l’evoluzione del registro ironico nella propria opera rispetto a una realtà socio-politica che ne rende sempre più problematica l’adozione. Il volume si chiude con due contributi che mirano a rintracciare indizi precoci di un discorso interculturale nella letteratura italiana del ventesimo secolo: Donatello Santarone si sofferma ad analizzare i testi in cui Alberto Moravia, Franco Fortini e Alberto Arbasino si sono confrontati con la Cina, in una successione di sguardi variamente “posizionati” che segue in modo originale gli eventi storici del gigante asiatico; Ricciarda Ricorda ricerca invece tracce di rapporti interculturali in Calvino, Sciascia e Pasolini, richiamandosi per quest’ultimo anche all’opera cinematografica.