Noi italiani neri. Storie di ordinario razzismo è l'ultimo libro dello scrittore di origine senegalese, già autore di un fortunato romanzo, Io venditore di elefanti, che ha inaugurato il fenomeno della "letteratura della migrazione" nel 1990 e che è stato ripubblicato a distanza di anni da Baldini&Castoldi. Con questo nuovo testo, che difficilmente rientra in una categoria precisa, come quella del romanzo, dell'autobiografia o della cronaca, dato che le incrocia tutte, leggiamo cosa significhi essere italiani neri: rimbalzare, anche ferendosi - e non solo metaforicamente - su un muro di ignoranza, ottusità, razzismo. Razzismo deriva da razza, parola forte oggi, fuori moda e poco menzionata. Tuttavia di questo trattano le storie che il libro raccoglie, raccontate in prima persona dall'io narrante, nella forma di lettere scritte a un giudice: storie che parlano di come ancora per molti italiani i neri siano una razza inferiore rispetto a quella bianca, che non può mescolarsi ad essa, basandosi sull'assunto che le razze esistono e dunque diviene impossibile per una persona di un colore diverso dal bianco venire riconosciuta italiana. Gli italiani sono solo bianchi. È un libro che lascia una grande amarezza, con vicende che si vorrebbe credere inverosimili e che invece accadono, negli stadi ma anche per strada, in qualsiasi luogo, e che spesso non vedono un intervento da parte del legislatore che, nei casi citati dall'autore, tende a escludere che il motivo delle aggressioni verbali e fisiche sia di natura razziale. I temi che Pap Khouma tratta sono molti, volti a valorizzare l'apporto che nella storia molti africani hanno dato all'Europa, spesso ignorato: è il caso dei sacrifici dei soldati senegalesi morti in nome della Francia, che la madrepatria ha dimenticato, cancellandoli dalla sua storia; anche lo sport è un tema su cui l'autore torna spesso, nominando i campioni di pelle nera di differenti discipline, il calcio in particolare, non estranei all'odio razziale. Gli stadi in tal senso divengono luoghi di concentrazione del peggio che una società può produrre, in termini di violenza e razzismo. Un altro tema importante toccato è quello delle seconde generazioni, del fatto che esistano già - e nemmeno da poco tempo - italiani neri, che la percezione collettiva continua a rifiutare come un non-sense, come una contraddizione. Il messaggio che passa è, certamente, desolante, tuttavia è da valorizzare il tentativo che l'io narrante compie, nel rivolgere l'appello a questi giovani rifiutati dai più e parlando per bocca di uno di essi: "Un italiano bianco non vivrà e non capirà mai la rabbia che provano gli italiani neri. Io ho la mamma italiana e non ho mai avuto problemi di documenti, però la rabbia viene creata dall'occhiata sospetta che senti su di te quando entri in un negozio; il taxi che non ti prende da una certa ora; se non sei vestito bene in certi luoghi rischi di essere considerato un criminale; quando ti siedi vicino a una signora o una ragazza, lei subito sposta la borsa; quando prendi la metropolitana con i tuoi amici bianchi, chiedono il biglietto soltanto a te. Quando ti chiedono: "Da dove vieni?" E tu rispondi: "Da Milano". Cominciano a chiederti: "Allora dove sei nato?" Dici: "A Milano!". "Ma tua mamma?". "E' italiana!" "E tuo padre?" "Mio padre è senegalese". "Allora, tu non sei italiano, ma senegalese". Non finisce mai. È come una goccia che continua a cadere sulla testa per tutta la vita. Ti logora e ci vuole tanta energia e consapevolezza per non cadere nella trappola della disperazione. Il messaggio che vorrei darei ai figli della migrazione è di non farsi travolgere dalla rabbia. Sviluppare la propria consapevolezza rispetto a questi strani meccanismi che regolano i rapporti sociali. Ai fratelli bianchi, mi viene da dire che non si può considerare chi non ha il tuo stesso colore, un ospite. Quindi l'ospite non deve chiedere niente. Noi non siamo come la prima generazione di immigrazione degli anni Settanta e Ottanta […] La nostra generazione rifiuta di essere subalterna. Siamo italiani e non stranieri o ospiti. Sono ritornato in Italia, perché non avevo nessuna intenzione di scappare dal mio paese. (85-86) Sono molte le frasi che si incrociano nel testo quali: "Tornatene a casa tua", rivolto al ragazzo nero di turno, che riassumono la contraddizione e l'ottusità di molti italiani che non riescono né vogliono entrare nell'ottica che la casa è comune e spesso non ve ne sono altre, per gli italiani neri. Il libro di Pap Khouma mette il dito nella piaga del razzismo italiano e europeo (se si pensa alle pagine dedicate alla Francia e ai suoi soldati africani), scrive di vicende scomode, ma che si devono leggere e diffondere, per far crescere la consapevolezza del cambiamento della società italiana e contrastare atteggiamenti razzisti di cui troppo spesso gli italiani restano, quando non protagonisti, silenti osservatori.