Un ex rifugiato che dormiva per le strade di Roma, oggi imprenditore a Venezia, sogna di ricostruire l'Afghanistan
di Nicole Valentini
Era una notte d’autunno del 1994 e i Talebani si apprestavano a conquistare l’Afghanistan. Solo due anni prima era iniziata una terribile guerra civile, che aveva visto le varie fazioni di mujaheddin scontrarsi tra loro e trasformare il paese in una landa di sangue e disperazione. Nel frattempo in un piccolo villaggio dell’Afghanistan centro-orientale, un bambino hazara si apprestava a consumare la sua ultima cena assieme alla sua famiglia. Anche se non lo aveva detto ad alta voce, sua madre sapeva che non avrebbe più rivisto suo figlio per molto tempo e c’era anche la possibilità che quella sarebbe stata l’ultima volta. All’alba suo zio sarebbe passato a prenderlo e poi lo avrebbe consegnato ai trafficanti. Abdul Ali Mazari, leader hazara del partito Hezb-e Wahdat era appena stato ucciso dai Talebani e migliaia di hazara privati del loro leader e di ogni possibilità di difesa, stavano lasciando il paese a frotte. Tutti sapevano che non appena i Talebani sarebbero arrivati, per loro non ci sarebbe stata alcuna possibilità di salvezza. Pochi giorni dopo quel ragazzino di 13 anni, arrivò in Pakistan dove avrebbe lavorato per qualche anno in una miniera di carbone. Poiché il lavoro in miniera stava minando la sua salute e lo stremava, decise di mettere insieme i suoi miseri risparmi per migrare in Iran, ed è lì che qualche mese dopo si ritrovò assieme ad altri rifugiati, a trasportare sacchi di malta più pesanti di lui. Dopo quattro anni, Ashasaf decise di abbandonare quella vita senza diritti in Iran e di tentare la sorte in Europa. Il suo primo punto di approdo, dopo un pericoloso viaggio via mare, fu un'isoletta greca disabitata. Ashraf decise di trasferirsi in Italia nel 2002 dopo che le autorità greche gli avevano negato l’asilo.
Giunto in Italia, Asharaf si ritrovò a vagare per le strade di Roma, dormendo nei parchi e mangiando presso una chiesa che distribuiva pasti due volte al giorno ai meno fortunati. Anche se l'Italia rappresenta un po’ una seconda opportunità per i richiedenti asilo respinti da altri paesi, grazie alla maggiore probabilità che venga accettata la domanda di asilo, è vero anche che le condizioni che i richiedenti asilo si trovano ad affrontare sono talvolta molto dure. Secondo la ONG Civil Liberties Union for Europe, “il sistema manca di una generale trasparenza. La stragrande maggioranza dei richiedenti asilo vengono ospitati in oltre 3.000 ‘centri di accoglienza straordinari’, costituiti da strutture improvvisate nelle mani di personale non qualificato e non preparato”.
In base alla legge italiana, i richiedenti asilo possono avere accesso ai centri di accoglienza dopo che sono stati ufficialmente registrati. Questo processo può protrarsi per anni dopo la presentazione della domanda iniziale. Durante questo periodo, le persone che non hanno il denaro sufficiente a permettersi un normale alloggio, devono chiedere ospitalità ad amici oppure vivere per la strada. Questo è proprio ciò che accaduto anche ad Asharaf. Grazie al suo spirito indomito, Asharaf non si è però lasciato demoralizzare e non è rimasto a lungo per la strada. Dopo aver svolto diversi lavori nel settore dell'edilizia, Asharaf ha deciso di investire i suoi risparmi per aprire un ostello a Venezia. Il successo è stato tale che dopo poco ne ha aperto un secondo e assieme ad esso un ristorante take away.
La storia di Asharaf Barati è diventata anche un documentario dal titolo “Behind Venice Luxury – a Hazara in Italy” (Dietro al lusso di Venezia – Un Hazara in Italia), diretto dal regista Amin Wahidi. Il film ha vinto la 24esima edizione del Premio Città di Venezia 2017.
Le ambizioni personali di Asharaf si estendono oltre il settore dell'ospitalità e della vendita al dettaglio e puntano verso la terra che ha dovuto abbandonare ancora bambino. “Dove c'è rischio c'è anche opportunità”, dice Asharaf con un sorriso. “Voglio investire in Afghanistan. Non mi sono mai dimenticato il mio paese e non posso vivere sapendo che la mia gente sta soffrendo. Sto pensando di avviare un progetto per gli agricoltori delle province più povere e in particolare per le donne, che rappresentano la metà della società e che devono godere delle stesse opportunità degli altri”. Asharaf sta pensando anche di aprire una fabbrica a Kabul, dove le persone possano imparare le tecniche di confezionamento e conservazione. “In questo modo”, dice, “saranno in grado di vendere le eccedenze al mercato e potranno migliorare la loro condizione finanziaria”. Per Asharaf, il percorso per diventare un imprenditore di successo ha comportato passare dal dubbio e l'incertezza alla stabilità e alla prosperità. Avendo sperimentato tutto questo sulla propria pelle, Asharaf desidera aiutare l'Afganistan ad intraprendere lo stesso percorso.