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Racconto

Una parte degli ultimi

di Gracy Pelacani

Può capitare di incrociarli già dalla mattina presto, molto presto. Li senti arrivare mentre sono ancora lontani. Prima di loro ti raggiunge l'orecchio il rumore metallico e costante dei carrelli della spesa che si trascinano dietro sui marciapiedi di Barcellona. Che la strada sia ripida o piana, proseguono a ritmo costante come guidassero automobili di pregio. Sostano a ogni angolo, a ogni cassonetto grigio e ordinato, ne aprono il coperchio e, per qualche secondo, metà del loro corpo scompare lì dentro. Se la ricerca si rivela fortunata ne riemergono con quello che per noi è uno scarto e per loro è lavoro. Materiale metallico a cui qualcuno darà nuova vita. C'è solo una donna tra tanti uomini diversi, ma mi paiono tutti accumunati da una simile sensazione d'assenza. I suoi radi capelli grigi, stretti in una coda di cavallo precaria, le incorniciano il viso. È l'unica che parla costantemente a un pubblico che non c'è. Raccoglie solo cartoni, uno sopra l'altro sopra l'altro. Il suo carrello è per certo il più ordinato. Sembra anche la più sola e altrove, la più nostalgica non si sa di quale esistenza precedente. Come se altra vita non avesse al di fuori di quel rituale e di quelle parole che senza sosta rivolge a sé stessa e nessun altro. Angolo, cassonetto, coperchio, ricerca. Angolo, cassonetto, coperchio, ricerca. Prima che la vettura diventi insostenibile e ingovernabile per il troppo peso, questi uomini fanno ritorno al magazzino, dove altri come loro, dalla mattina presto, molto presto, hanno seguito lo stesso rituale. Angolo, cassonetto, coperchio, ricerca. Svuotano tutti, e ripartono. Sempre da soli, ognuno un piccolo pezzo di città, ognuno il suo gruzzolo di strade. La sera scompaiono, quando cala il sole e la ricerca sarebbe vana. E chissà che quello non sia l'unico momento in cui si permettono di regalarsi quel poco d'affetto che deriva dalla condivisione di un destino comune e non desiderato. Chissà se chiamano casa, condividono un pasto, scambiano notizie. Ma di giorno sono uomini soli, e al piacere della compagnia e dell'aiuto dell'altro preferiscono, forse, risparmiarsi la durezza che deriverebbe dal dover lottare per raccogliere lo stesso nostro scarto. Il mio occhio li avrebbe scartati dalla vista e dai pensieri, e sarebbero stata solo l'ennesima dimostrazione di un pezzo dell'assurdità di questo mondo con cui non ho né il tempo né il coraggio di fare i conti. Eppure penso a loro, costantemente, al rumore che le loro vite introducono nella mia di vita, anche se non voglio. Quel costante cicalio metallico che sento anche quando la finestra di camera mia é chiusa, e tutto il resto del mondo é rimasto fuori. Penso alla voce di alcuni di loro. Perché gli uomini che incontro la mattina presto, molto presto per le strade di Barcellona, cantano melodie del loro pezzo di mondo, e con la voce accompagnano quel ritmo metallico che fanno i loro carrelli sulle strade di questa città. Melodie e parole che non capisco, ma che fanno sentire me, anche me, parte dell'assurdo. Io li guardo passare, ma loro non guardano me, come non guardano nessuno che passa loro accanto. Noi siamo quelli che producono lo scarto, loro quelli che lo raccolgono per dargli vita nuova. Quello che per noi è un rifiuto, per loro è lavoro.