Angie è una giovane donna divorziata con un figlio undicenne che vive con i nonni. Licenziata in tronco da un'agenzia per cui procurava manodopera proveniente dai paesi dell'Est, decide di mettersi in proprio. Insieme all'amica Rose crea allora un'agenzia di reclutamento. Il confronto con la realtà dell'immigrazione clandestina però le imporrà delle scelte difficili che la condurranno ad una condotta non proprio esemplare che finirà per sopraffarla.
Gli emigrati siciliani in Tunisia e quelli tunisini in Sicilia, scambi e flussi che hanno generato vicende tra le più interessanti da raccontare. Storie dove l’integrazione e l’odio fanno parte di un unico universo. Dove il confine tra mondo islamico e quello occidentale è al tempo stesso evanescente ed insormontabile.
Alla realizzazione di questo documentario ha collaborato l'antropologo siciliano Franco la Cecla.
Storie di avventure metropolitane nella Parigi bleu, black, beur degli immigrati “invisibili”: quelle del tunisino “sans papier” Jallel che cerca invano di passare per algerino per avere asilo politico. Fa di tutto per integrarsi onestamente, ma non sfugge alla polizia.
Il ritorno della gente del Maghreb che vive in Europa alla propria terra d’origine durante le vacanze estive e lo studio dei diversi punti di vista e significati di questo ‘ritorno’: un esodo nella direzione opposta, un viaggio alla rovescia rispetto alla rotta disperata che migliaia di rifugiati intraprendono ogni anno dalle coste africane verso le nostre terre.
Sono gli anni '50. Momo è un ragazzino ebreo di dodici anni. Abita solo con suo padre, per la verità poco presente, dopo che la madre, quando Momo era ancora piccolo, li ha lasciati.
Ibrahim è un uomo ormai anziano, originario della Turchia, ma che da molti anni vive a Parigi. Ha un piccolo emporio in un quartiere popolare della città, dove vive anche Momo.
E' proprio nel negozio di Ibrahim che i due protagonisti si incontrano, tra i furtarelli di Momo e gli sguardi dolci e privi di rimprovero dell'anziano arabo, anzi, turco musulmano di confessione Sufi, come ama precisare con pacatezza Ibrahim.
Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano però non è un film sulla religione, o meglio, non è un film sull’astio tra religioni diverse. Certo, la vicenda che narra di un bambino ebreo che viene iniziato alla serenità e alla vita da un vecchio mussulmano potrebbe far pensare a u discorso sulle religioni, ma non è proprio così. Piuttosto è un film che cerca nelle diversità degli esseri umani, qualsiasi esse siano, i loro punti di contatto per trarne fuori gli spunti positivi.
Momo riceverà dall'esperienza di Ibrahim i fiori della sua saggezza, che dovrà imparare a coltivare in modo da rendere fertili i consigli per la sua vita adulta. Avrà anche in dono quella serenità che la vita non gli aveva riservato. "Sorridere rende felici" ripeteva sempre Ibrahim.
Il piccolo Moctar, costretto a lasciare la sua casa e gli amici più cari per raggiungere il padre emigrato in Francia, non riesce ad adattarsi alla nuova vita. Le sue inquietudini e le sue angosce si materializzano in una iena che lo insegue, perseguitandolo, ovunque lui vada. Non è pazzia; solo Paulo, però, lo capisce e lo aiuta a sconfiggere le sue paure affrontando la iena.
Liegi. Igor, giovane adolescente, è apprendista meccanico, ma la sua attività principale è assistere il padre Roger nei traffici illegali di manodopera di immigrati clandestini. Un giorno, nell’edificio che alcuni immigrati stanno ristrutturando agli ordini di Roger, arrivano due ispettori del lavoro: nel fuggi fuggi generale un immigrato africano, Hamidou, cade da un ponteggio e si ferisce mortalmente. Prima di morire Hamidou chiede a Igor di badare alla moglie Assita e al loro bambino. Di nascosto dal padre, Igor promette e cerca di mantenere fede alla promessa. Quando intuisce che il padre vuole sbarazzarsi anche di Assita vendendola come prostituta, Igor fugge con lei e il bambino. Ma il rapporto tra i due non è semplice…
Emmi è una vedova tedesca di sessant'anni che lavora come donna delle pulizie. Vive sola, non parla mai con nessuno e non riceve visite, neppure quelle dei suoi figli che sembrano averla dimenticata. Una sera, in un locale, Emmi conosce Alì. A farli incontrare è la solitudine e l'emarginazione.
Alì è un trentenne operaio marocchino che soffre l'isolamento degli stranieri.
Contro le resistenze dei rispettivi ambienti sociali, i due decidono di sposarsi, ma le pressioni sono sempre più forti e la situazione pesantissima. Emmi viene emarginata dalla famiglia e dai vicini: ciò che li fa uscire dai gangheri è il fatto che una “buona donna tedesca“ si sia scelta un uomo di colore. Alì viene condannato per aver sposato una donna più anziana.
Ali ed Emmi decidono quindi di partire per una breve vacanza e al loro ritorno miracolosamente troveranno l'ambiente che li circonda totalmente cambiato.
Alì ed Emmi sono il centro di questa pellicola di Fassbinder e sono gli unici esseri umani che egli decide di rappresentare. Certo sono circondati da altri personaggi, ma questi ultimi sono solo delle caricature di cui il regista si serve per illustrare le contraddizioni della società contemporanea.
Dall'apertura dell'Eurotunnel, 1997, un flusso di persone in fuga dai conflitti e dalla miseria alla ricerca di un futuro in Gran Bretagna è andato via via intensificandosi e si è concentrato sul territorio del Pas de Calais.
Un passaparola silenzioso tra persone in cerca di asilo ha fatto conoscere l’esistenza del Centro di Sangatte in tutti i paesi incendiati dalla guerra. Questo centro, allestito dalla Croix Rouge francese, ha dato accoglienza a circa 75.000 persone tra il 1999 e il 2002.
Il 18 dicembre 2002 il centro è stato chiuso su accordo dei Ministri Blair e Sarkozy.
"La mattina della chiusura, avvenuta verso le cinque, abbiamo raggiunto questo piccolo paese vicino a Calais, per capire cosa stesse accadendo, perché il centro fosse un problema, cosa rimane adesso di questo progetto".(F.Ambiel e A.Rosssi Maroso)
Il documentario si articola in tre momenti: la chiusura, le manifestazioni contro la chiusura, le parole dei richiedenti asilo. Il commento di Francis Gest, portavoce del collettivo di sostegno ai rifugiati racconta come questi arrivi siano indipendenti dall’esistenza del Centro. Il sociologo Derr, direttore di Sangatte, illustra la vita all’interno del Centro. Murielle Thorens, addetto stampa della Croix Rouge espone la sua esperienza con i rifugiati dal punto di vista umano e di relazione con queste persone. I ragazzi con cui parliamo ci immergono in un mondo altro, vicino a noi, distante da noi: con una semplicità disarmante ricordano gli anni di cammino verso Sangatte, l’abbandono del proprio paese, la sopravvivenza in attesa di un futuro dignitoso lontano dalla guerra.
Ora che il centro è chiuso cosa succede? Ovviamente i rifugiati continuano ad arrivare. Sangatte è smantellato ed essi dormono per strada, nei parchi, nei bunker abbandonati della seconda guerra mondiale lungo la costa. Ma le istituzioni considerano il «problema Sangatte» ormai risolto.
L’amicizia tra due ragazzi non ancora adolescenti costretti a diventare adulti troppo in fretta: Mario, un bambino di strada, capace di muoversi con insolente padronanza per le vie di Managua, in Nicaragua e Enrique, cercatore d’oro di 14 anni, in fuga dalla povertà e da una vita senza prospettive.
Il viaggio di Enrique alla ricerca del fratello maggiore in città sarà un percorso non solo geografico, ma soprattutto un tragitto di iniziazione dell'età adulta, alla scoperta di un mondo rovesciato dove i bambini si comportano da adulti e questi ultimi appaiono lontani, distanti, evanescenti come fantasmi.
«Ci sono storie che non vengono mai raccontate, che restano custodite tra le strade che le vedono nascere, senza superare mai i confini dei loro luoghi originari. Le storie di alcuni bambini di Managua sono di questo genere.
Una precedente esperienza lavorativa nel paese centroamericano mi aveva lasciato in eredità un chiodo fisso: raccontare la condizione dell'infanzia in questo paese, perché mai avevo assistito in vita mia a tale ingiustizia, bambini obbligati a crescere in fretta per poter sopravvivere. Managua non è solo la capitale del Nicaragua – crocevia obbligato per chi si sposta da una parte all'altra del paese in cerca di una vita migliore - ma anche il luogo che meglio riflette il senso di totale abbandono del mondo infantile.
Per le sue carattertistiche architettoniche – gli ampi centri commerciali anonimi come ovunque nel mondo, le strade a tre corsie costellate dai cartelloni della Pepsi che sovrastano le rovine del terremoto e gli echi del passato sandinista – meglio di ogni altra città rappresenta il punto di rottura tra il passato e il presente. Managua è un po' lo specchio dei tempi. Il posto più adatto in cui perdersi, in cui smarrirsi, non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello dei valori e degli affetti». (A. Angelini)