È la storia di una famiglia che emigra, prima i genitori, poi le figlie che erano affidate alla nonna. Dalle pianure polverose della Voivodina alla Svizzera, dalla forte tenerezza della nonna e dalla sua casa contadina piena di animali a cui si sono affezionate, le due bambine arrivano nella casa ben fornita che i genitori, rimasti lontani troppo a lungo, hanno preparato per loro. Per le due generazioni saranno ben diverse le strategie e le possibilità di adattamento, ma per tutti vi è nostalgia degli affetti lasciati e sofferenza allo scoppio della guerra in Jugoslavia.
La vicenda, coinvolgente, si svolge nella piccola e felice Danimarca e ritornano alcuni dei protagonisti conosciuti nel libro "Il fuggitivo".
Questo libro viene pubblicato nel 1969 e ripercorre l'esistenza dell'autrice negli anni della sua formazione, prima, durante e dopo la rivoluzione russa, fino alla sua lunga vita in Occidente. Racconta i russi esiliati in Europa, in particolare a Parigi, la loro povertà materiale e il lusso intellettuale, e poi l'esistenza in America. Innumerevoli sono le figure di grande rinomanza che animano questo diario di una vita, moltissime le persone frequentate e che erano o diventeranno famose, tanto da rendere necessarie molte pagine di regesto per elencarne i meriti e le attività.
«Storia rocambolesca della mia famiglia» recita il sottotitolo e la narra un'attrice e regista, figlia di ebrei croati, che vive in Germania: racconta la propria quotidianità e rovista nella storia di parenti e progenitori, ripercorrendo nelle vicende individuali gran parte del secolo scorso. Sgomberare l'appartamento alla morte dei genitori, riprendere in mano le loro carte e le mille foto significa anche dare un senso alla propria esistenza ed alla propria appartenenza. Con i morti si può anche conversare e nella loro memoria si onorano i vecchi, i parenti lontani, si
Quando è uscito in Danimarca questo romanzo ha suscitato molto scalpore e molte polemiche. Non certo per la vita libera che conduce la protagonista ("aveva ripreso a mangiarsi uomini appetitosi mattina, mezzogiorno e sera, ma non si addormentava mai sazia") nè per le esplicite scene di sesso: questo libro inchioda un'intera nazione alle sue responsabilità di fronte all'immigrazione e alle politiche che ha adottato. Mette sotto la lente di ingrandimento e di analisi in particolare politici e giornalisti nelle loro diverse e complesse individualità.
Siamo nell'estate 1915, un piccolo gruppo di persone, tre donne, un bambino e un uomo, sono in fuga verso le montagne. Hanno perso tutto, familiari e casa, nel massacro operato dai turchi nella valle di Mush, ma nella tragedia trovano ancora un motivo per vivere: mettere in salvo un libro di enorme valore per la loro cultura, un grande manoscritto del 1200, pesante più di 27 chili, tanto che lo dividono in due per riuscire a portarlo.
Il romanzo di Wu Ming 2 e Antar Mohamed è forse il primo, riuscito tentativo a quattro mani di romanzo che risponde, nell'accezione del writing back teorizzato da Ashcroft in quel volume-pietra miliare per gli studi postcoloniali The Empire Writes back, a un immaginario ancora molto intriso di pregiudizi nei confronti dell'altro da sé per eccellenza, il nero, e di ignoranza sul tema della storia coloniale italiana.
Un libro per chi ama immergersi in un mondo ed in una storia, seguire mille personaggi ed emergerne solo dopo centinaia di pagine, 856 in questa edizione. Un libro per chi ama le storie d'amore, che si susseguono lungo un secolo di vita di due diverse famiglie, amori anche altamente improbabili come quello tra i due protagonisti che fanno da filo conduttore del lungo racconto. L'ambientazione è da una parte sulle montagne tra Libano e Siria, dall'altra in una Damasco molto amata di cui si disegnano strade, vicoli, case e botteghe, colori e profumi.
La sua valigia non è più di cartone. Contiene un diploma di laurea in più e forse qualche sogno in meno. Ma il protagonista di questo libro, come il nonno e come il padre, dalla sua terra deve partire. Con la consueta affabulazione rapinosa e una lingua capace di incarnare la pluralità dei luoghi, delle culture e delle esperienze, Carmine Abate narra i viaggi ininterrotti del suo “eroe senza medaglie”: viaggi di andata e di ritorno, nella memoria e nel presente.
Si tratta di un testo scritto nel 1999 e tradotto solo nel 2011, da Mesogea, casa editrice che da anni si occupa di far conoscere ai lettori italiani autori appartenenti alle sponde del Mediterraneo.
Nasce dalla reale esperienza di "irregolare" dell'autore, giornalista in Marocco, che ha sperimentato per tre anni la clandestinità, il lavoro nero, la paura e la misera, nonchè la nostalgia del ritorno. Ritorno che intra e extra testo avverrà, ma senza, perlomeno intra testo, i successi che ogni migrante spera di conquistare, esibendo i frutti delle sue fatiche a casa.