Alcuni rifugiati somali che nel 2008 hanno occupato l’ex caserma di via Asti interpretano le loro storie di esiliati. Suad Omar ha innescato una vera e propria catena poetica mettendo in versi le storie ascoltate dai protagonisti, ma anche rielaborando materiale d'archivio riguardante i processi contro i membri della Guardia nazionale repubblicana fascista. La catena poetica attraversa il paradosso interno alla caserma, saldando la storia passata del colonialismo a quella contemporanea dell'esilio e della diaspora. Le riprese lunghe, le posture dei protagonisti, la scelta stessa della poesia orale somala (considerata l'espressione politica e culturale più alta) e il progressivo passaggio da spazi luminosi a luoghi d'ombra ben inscena il tema dello sradicamento e della memoria.
Kaha Mohamed Aden ricostruisce in questa lunga intervista la sua città, Mogadiscio, vista ormai nel ricordo, da lontano, dalla Pavia in cui attualmente abita.
È la bella città bianca affacciata sull'azzurro dell'oceano con la sua via verde, il suo primo nucleo storico, quello islamico, la città aperta all'oriente ed all'Africa che ha alle spalle.
La via nera è quella dell'edilizia fascista portata dal colonialismo italiano e furono in pratica i fascisti, tornati come esperti dei luoghi, ad avviare alla democrazia (!) la Somalia, in un lungo periodo di amministrazione fiduciaria, 1950-1970. Rossa la via del socialismo di Siad Barre, tiranno dapprima illuminato poi sempre più feroce, a cui fa seguito una Somalia ingovernabile, la via grigia, dell'attuale guerra di tutti contro tutti.
La quinta via, quella della speranza, bisogna desiderarla e e costruirla, tuttavia è possibile se in passato in questa città c'è stata vita e convivenza.
Il lavoro è arricchito da immagini d'epoca che si intrecciano a quelle della Pavia di oggi.
Di sicuro interesse la collaborazione musicale di Isacco Chiaf.
La presentazione:
http://www.youtube.com/watch?v=s9vSKtdG25A&feature=related
il trailer:
http://www.youtube.com/watch?v=_nmHWQiLQm8
Scritto da Simone Brioni e Ribka Sibhatu questo documentario è vivace e luminoso, ricco di spunti, estremamente chiaro nei concetti importanti che esprime.
Un giovane gira per le strade di Roma, rendendola protagonista tra racconti ed interviste. Alla fine ci spiegherà che non è “romano da sette generazioni”, ma che con tante altre persone, nate non importa dove, rende viva questa città.
L'altra protagonista che riempie la scena è Ribka Sibhatu. Ci racconta, e ci canta secondo la tradizione eritrea, la sua vicenda personale e la storia congiunta di Italia ed Eritrea, una storia che dovremmo ricordare e condividere, ristudiandola insieme e mettendoci gli uni dal punto di vista degli altri.
Due i sogni principali di Ribka: vedere il riscatto culturale dell'Africa ed essere considerata romana, sentirsi a casa propria a Roma “come quando non va in questura”.
Almeno uno il nostro: sentire tanti esprimersi come la giovane Sara, sicura della propria ricchezza. “Sono romana, francese ed eritrea”.
Le musiche originali sono di Edoardo Chiaf.
Qui il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=2Y4rYLlUEf0&feature=player_embedded
L’assenza di idee potrebbe essere la causa del vuoto nelle grandi periferie urbane e in alcuni luoghi del centro delle città.
Elaborare idee è un lavoro lungo e faticoso.
Elaborare buone idee è compito arduo, ma c’è qualcuno che non si arrende.
Il soggetto è di Giuseppe Cembalo e Serena Gaudino.
Produzione Centro Hurtado, Fondazione Premio Napoli, Fondazione Vodafone Italia
Giuseppe Cembalo è ospite de Il Gioco degli Specchi, "Fili d'oro", dal 4 al 6 novembre 2010. Proiezione del video ambientato a Scampìa e incontro con il pubblico sabato 6 novembre alle ore 10, AULA MAGNA, della Fondazione Bruno Kessler, via S.Croce, 77, Trento
Il regista porta la sua cinepresa a S.Anna, 89 abitanti, frazione di Isola Capo Rizzuto, presso l'aeroporto di Crotone in Calabria. È il centro d'accoglienza più grande d'Europa, con una capienza ufficiale di 1.698 posti, dove le persone dormono tra container e tende. Le tensioni sono nate quando dal campo gli immigrati sono stati autorizzati ad uscire, dalle 8 alle 20, senza peraltro poter fare nulla.
Antonio Martino ascolta con pazienza tutte le opinioni e le registra, guarda gli oggetti quotidiani e gli occhi degli interlocutori. Lo sconcerto e le paure degli abitanti la cui vita è stata stravolta dalla presenza di tanti immigrati, questi ultimi che sprecano la loro esistenza sospesi in un limbo di cui non vedono la fine, gli operatori e i funzionari, gli assistenti che cercano di capire le ragioni degli uni e degli altri, coloro che hanno subito le umiliazioni dell'emigrazione e ricordano che a volte basta un sorriso. E quando la domanda di asilo non viene accolta è il foglio di via e l'inabissamento nella clandestinità in condizioni di vita disumane. O, se viene accolta, la felicità di prendere un treno per Roma o Milano centrale e la speranza di trovare un lavoro.
Si parla di S. Anna, ma in realtà dell'Italia e della sua incapacità di gestire una politica di accoglienza che dia assistenza ed informazioni reali agli abitanti invece di fomentarne le paure e nello stesso tempo affronti l'immigrazione nel rispetto dei diritti umani.
Di Antonio Martino segnaliamo anche:
"Noi siamo l’aria, non la terra", Bielorussia 2004. Documenta le attuali condizioni di vita e le conseguenze subite dalla popolazione che vive nei pressi della centrale nucleare di Chernobyl a diciotto anni di distanza dalla catastrofe.
"Gara de Nord", Romania 2006. Armato di una piccola telecamera palmare più o meno nascosta ed un budget pari a zero, vive con i bambini delle fogne di Bucarest per un mese. Il film riceve molti premi, tra i quali il prestigioso Premio produzione Ilaria Alpi 2007.
"Pancevo_mrtav grad", Serbia 2007. Un reportage girato nella città più inquinata d’Europa: Pancevo, in Serbia, a pochi km da Belgrado. Il video indaga sulle conseguenze del bombardamento del più grande complesso industriale della ex Yugoslavia da parte della Nato.
"Be water, my friend", Uzbekistan 2009, tratta delle assurde condizioni di vita di ex pescatori i quali sono stati privati della cosa per loro più importante: l’acqua dell'ormai scomparso lago di Aral.
Dagmawi Yimer è una delle persone che nei nostri telegiornali abbiamo visto arrivare a Lampedusa, ha perfino ritrovato la ripresa del suo sbarco e la sua immagine in mezzo a tante altre.
Nato in Etiopia, cerca di fuggire dalla pesante situazione politica del suo paese e passando per il Sudan si dirige verso la Libia. Qui subisce molte violenze sia da parte dei contrabbandieri sia da parte della polizia libica.
Riuscito ad arrivare in Italia, trova il modo di raccontare questo suo viaggio, grazie ad una associazione di accoglienza e cura, Asinitas Onlus (http://www.asinitas.net) e ad un gruppo di autori video, specializzati in video partecipativo e documentario sociale, ZaLab (www.zalab.org).
Un filo unisce questo film al precedente “A sud di Lampedusa” firmato anch'esso da Andrea Segre: il desiderio di comprendere cosa muove masse di persone verso il Mediterraneo e l'Europa e qual è la realtà dei viaggi compiuti nel deserto per arrivarvi.
Sono 5 anni di interviste e ricerche sul campo, da cui è scaturito il lavoro di Stefano Liberti, un reportage narrativo da poco pubblicato da minimum fax, e che costituisce la base di entrambi i soggetti. "A Sud di Lampedusa" documenta le difficoltà dei viaggi nel deserto tra Sahel e Maghreb e raccoglie le testimonianze dei migranti stagionali arrestati in Libia e abbandonati alla frontiera nigerina.
“Come un uomo sulla terra” ne è in un certo senso la continuazione e testimonia le continue violazioni dei diritti umani in Libia anche da parte delle autorità.
Ne è nata quindi una campagna di informazione ed una petizione per chiedere al parlamento italiano di non firmare il trattato con la Libia prima di avere assicurazioni sul rispetto nel suo territorio dei diritti umani.
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com/
La tragedia dei migranti africani ci riguarda da vicino: cosa finanziamo con le nostre tasse? Quale ruolo l'Italia e l'Europa hanno assegnato alla Libia e come lo svolge?
Dice Andrea Segre: “E’ la ricerca di uno spazio di dignità che mi ha mosso a fare questo film. Ma non per i migranti. Per me. Per me come cittadino italiano, come cittadino, come uomo.”
Il film esce con il patrocinio di Amnesty International Sezione italiana ed ha ottenuto il Premio Don Luigi Di Liegro 2008.
Infinito edizioni nel 2009 commercializza il DVD con un libro polifonico a cura di Marco Carsetti e Alessandro Triulzi: le storie narrate e il percorso con cui si è arrivati al film.
Dopo il documentario sull'orchestra multietnica nata a Roma nel quartiere Esquilino (L'orchestra di Piazza Vittorio), i protagonisti della stessa avventura, Agostino Ferrente e Mario Tronco, hanno promosso la realizzazione di ritratti dei singoli musicisti. I primi due sono stati realizzati in Argentina da Alessandro Rossetto e in Tunisia da Leonardo Costanzo.
Il 2 luglio 1940, al largo delle coste dell'Irlanda, un sottomarino tedesco affondò l'Arandora, una nave da crociera requisita dalla Marina inglese, priva delle insegne della Croce rossa per segnalare la presenza a bordo di 1.200 prigionieri civili che venivano deportati in Canada. Piu' di 800 uomini persero la vita. Fra questi, 446 emigrati italiani arrestati dal governo inglese poche ore dopo la dichiarazione di guerra di Mussolini. Inutilmente le loro famiglie cercarono di ottenere verità e giustizia.
Dopo sessant'anni un rappresentante del governo inglese ha ammesso le responsabilità britanniche e la vicenda è tornata alla ribalta nel 2002 grazie al libro della studiosa Maria Serena Balestracci "Arandora star, una tragedia dimenticata".
La pianura padana come il Punjab. Sono più di 2000 i Sikh nella provincia di Reggio Emilia, i temibili uomini dal turbante descritti da Salgari come spietati guerrieri, sono in realtà uomini gentili che, per il tradizionale rispetto che hanno delle mucche, fanno i mandriani e si occupano di loro nelle grandi stalle della pianura padana. Le famiglie sono venute qui dal Punjab con la voglia di farsi un futuro, di fare soldi e poi chissà un giorno tornare. Sono arrivati con le loro spezie, le loro preghiere, i loro canti, le loro mogli. Oggi che sono integrati nella società italiana, cercano di mantenere gelosamente la loro cultura, i loro principi, ma i figli, che mordono il freno, vogliono sentirsi uguali agli altri ragazzi "del muretto".
Il video rappresenta in maniera ironica il sentirsi italiani da parte dei figli degli immigrati cresciuti in italia. Quanto e quando ci si sente italiani?
https://www.youtube.com/watch?v=R4Gq_byUuQA