
Dopo aver lavorato per 45 anni come "Gastarbeiter" (lavoratore ospite) Hüseyin Yilmaz annuncia alla sua vasta famiglia di aver deciso di acquistare una casetta da ristrutturare in Turchia. Vuole che tutti partano con lui per aiutarlo a sistemarla, ma le reazioni non sono delle più entusiaste. La nipote Canan poi è incinta, anche se non lo ha ancora detto a nessuno, e ha altri problemi per la testa. Sarà però lei a raccontare al più piccolo della famiglia, Cenk, come il nonno e la nonna si conobbero e poi decisero di emigrare in Germania dall'Anatolia.
L'escamotage della narrazione al piccolo di famiglia permette di sviluppare una alternanza tra un passato di difficoltà e una progressiva crescita operosa, senza perdere in ironia. Si tratta di un'opera che consente anche ai non esperti di storia e società tedesche di divertirsi e magari di fare produttivi paragoni con la situazione italiana.
Nel 1931 l'Australia ha due problemi principali. Da una parte i conigli, per difendersi dai quali è stata costruita una recinzione che taglia l'intero continente. Dall'altra l'esistenza degli aborigeni, che si pensa di "addomesticare" strappando i più giovani alle famiglie di appartenenza per deportarli in appositi "campi" di rieducazione dove dovranno imparare ad obbedire ai bianchi. Tra le vittime anche Molly, Gracie e Daisy Craig, tre bambine che decidono di fuggire percorrendo 1.500 chilometri per tornare a casa. Nonostante l'accanimento del funzionario predisposto all'attuazione del programma e gli sforzi della guida indigena incaricata di ritrovarle, due su tre ce la faranno. Il film è tratto dal romanzo di Doris Pilkington Garimara, basato su una storia vera. Nota di merito a parte per la fotografia di Christopher Doyle e per la dolente colonna sonora di Peter Gabriel.
Il lustrascarpe Marcel Marx vive a Le Havre tra la casa che divide con la moglie Arletty e la cagnolina Laika, il bar del quartiere e la stazione dei treni. Il caso lo mette contemporaneamente di fronte a due novità di segno opposto: la scoperta che Arletty è malata gravemente e l'incontro con Idrissa, un ragazzino immigrato dall'Africa, approdato in Francia in un container e sfuggito alla polizia. Con l'aiuto dei vicini di casa e di un detective, Marcel si prodiga per aiutare Idrissa a passare la Manica e raggiungere la madre in Inghilterra.
Presentato a Torino nella sezione concorso “Doc 2005”, “Manoorè” di Daria Menogozzi è un documentario sul lavoro nell’epoca della globalizzazione attraverso la voce di tre donne sindacaliste Awa, Rita e Catherine provenienti dal Senegal, dal Brasile e dalla Malesya. Queste tre donne si sono incontrate all’OIL, l’Organizzazione Internazionale del lavoro, che ha sede a Torino, dove esponenti del mondo del lavoro, provenienti dai paesi investiti maggiormente dal processo di globalizzazione, si confrontano e discutono. Attraverso la storia di queste tre donne, giunte a Torino per studiare i problemi e le sfide che la globalizzazione pone al mondo del lavoro, il documentario riflette sugli esiti drammatici e sulle conseguenze tragiche che ha la globalizzazione, soprattutto, nei paesi del Sud del Mondo.
Le storie di queste tre donne sono il punto di partenza ed il nucleo del film: le vediamo all’opera nei loro paesi, nelle loro famiglie, nelle sedi dei sindacati, nelle fabbriche, per raccontarci la loro esperienza professionale e la loro vita privata. Si parla di precarietà e diritti del lavoro, di protezione sociale e di povertà femminile. Emerge la forte necessità di superare un sistema economico, sociale e politico basato sullo sfruttamento e sulla discriminazione e di proporre un nuovo concetto di globalizzazione basato su diritti e regole internazionali in modo tale che questi diventino la priorità per tutti i paesi del mondo sostituendo le priorità legate al mercato e al business.
“Manoorè” è un documentario che dà voce a chi ha sta vivendo e subendo una globalizzazione che non ha deciso e scelto. L’autrice ha dichiarato: «Manooré, in lingua woolof significa “le tue grandi capacità”. Awa, Rita e Catherine sono 3 donne sindacaliste e sono le 3 protagoniste del film. Le donne, da sempre considerate erroneamente l’anello debole della catena economica e sociale, si battono, si organizzano, si coalizzano, partendo da tutte le latitudini. Lottano per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori che oggi, al tempo della globalizzazione, sono più che mai annullati»
Tratto da http://www.nonsolocinema.com/Manoore-di-Daria-Menegozzi.html, di Giovanni Santoro
In California in un giorno apparentemente qualsiasi, una nebbia fitta improvvisa avvolge i confini dello stato e le comunicazioni con l'esterno si interrompono. Contemporaneamente, scompaiono tutti i messicani. La moglie americana di un musicista non lo trova più e con lui il loro figlio maschio; il conduttore delle seguitissime previsioni meteo televisive non c'è più e una collega ne è visibilmente scossa. Insomma una parte fondamentale della popolazione californiana è scomparsa causando tracolli che vanno dalla sfera privata a quella socioeconomica.
Si tratta di un film divertente e intelligente che potrebbe essere ambientato ovunque esista un'immigrazione rilevante, un film abile nel mostrare come oramai gli immigrati siano parte di una società che non può prescindere da loro, evidenziandone le contraddizioni: da una parte i discorsi demagogici che rifiutano gli stranieri, dall'altra la realtà e la società che ne possono fare a meno.
Bachir Lazhar, immigrato a Montréal dall'Algeria, si presenta un giorno per il posto di sostituto insegnante in una classe sconvolta dal suicidio della maestra. Anche lui ha alle spalle un duro passato, con cui deve fare i conti. L'anno scolastico si trasforma in un'elaborazione comune del dolore e della perdita e in una riscoperta del valore dei legami e dell'incontro.
Il film è un racconto semplice, di grande e umana autenticità rappresentata in modo mirabile sia dal protagonista che dà il titolo al film che dagli allievi.
Monsieur Lazhar suscita commozione ma senza scivolare nel pietismo e permette di riflettere sulle ragioni - spesso drammatiche - che spingono molte persone a lasciare il proprio paese d'origine.
A partire da un quadro introduttivo sul fenomeno delle migrazioni da una prospettiva letteraria, si inviteranno i e le partecipanti a divenire parte attiva del seminario sollecitando riflessioni da testi che verranno distribuiti in quell'occasione.
Una città del Nordest d'Italia. L'immigrazione incide sul tessuto sociale. L'industriale Golfetto non la sopporta nella maniera più assoluta e scarica tutta la sua xenofobia in uno spazio a lui riservato nella tv locale che finanzia. Intanto fa ritorno a casa Ariele, un poliziotto con madre con Alzheimer e un tempo compagno della maestra Laura che ora attende un figlio da un africano. Un mattino però, dopo un fenomeno temporalesco anomalo, tutti gli extracomunitari e gli stranieri in genere scompaiono dal territorio. Bisogna arrangiarsi da soli.
Il debito con Un giorno senza messicani viene correttamente pagato sin dai titoli di testa. Perché l'idea di base è la stessa: là la California qui il Nordest, identica la sparizione. Le similitudini si fermano però a questo punto perché lo sguardo e il punto di vista divergono e non solo per ovvie diversità di latitudini, usi e costumi. Il film di Patierno trova la sua forza proprio nell'ignoranza che pervade il tessuto sociale traducendosi talvolta in violenza e che viene perfettamente esemplificata dal personaggio del taxista. Cose dell'altro mondo affronta il discorso della necessità della presenza degli immigrati per la stessa sopravvivenza del trend di vita proprio di coloro che più ne contrastano la presenza. Lo fa con i toni della commedia alternando la disinibita irruenza di un Abatantuono (che ogni tanto dimentica di interpretare un veneto e torna ad accenti milanesi) con la levità surrealmente efficace di Valerio Mastandrea, il quale interpreta un personaggio che si muove in una sorta di tempo sospeso in cui il compito primario sembra essere il reagire e non l'agire. L'esito è divertente e interessante. In più occasioni nella storia del cinema (e non solo) la commedia è riuscita a far arrivare a un vasto pubblico delle idee che il dramma o la riflessione 'alta' avrebbero costretto nella ristretta cerchia dei già convinti.